La mia tesi un assaggio

 

DARIO NENCINI

Dall’amore dipendente all’amore autentico

 

INTRODUZIONE

Quando, frequentando i seminari tenuti da Loris Muner, sentii parlare per la prima volta di dipendenza affettiva e cominciai a esplorare le molte sfaccettature di questa particolare “piega” che la relazione può prendere, molte cose, che si muovevano dentro e fuori di me, trovarono una spiegazione.

Da sempre mi trovo a vivere relazioni “incasinate”, nelle quali la passione e l’amore sono forti tanto quanto la sofferenza e l’incertezza. E anche nel mio attuale rapporto di coppia è come essere sulle montagne russe: a incontri intimi ed emozionanti seguono conflitti e allontanamenti. Dopo aver fermamente creduto per molto tempo che il problema fosse in chi mi stava accanto, con il tempo un’importante quesito cominciò a farsi largo in me: il problema è in me o è in lei?

Grazie all’aiuto del counseling, portato avanti con Loris, e della psicoterapia di coppia, che tuttora prosegue con la mia compagna, capii con chiarezza che il problema era di entrambi. Poiché entrambi eravamo vittima di due “allucinazioni” che non ci permettevano di amare liberamente e che, in modo pittoresco ma efficace, chiamerò, come suggerisce Loris, l’Orfanello e il Vagabondo. Sono loro i protagonisti sul palcoscenico dell’umana dipendenza affettiva. Strutturatisi in età infantile, per difesa o reazione a particolari ambienti familiari, oltre che per un temperamento di base, possono arrivare a dirigere completamente la relazione con il partner, che viene vissuto, nel primo caso come l’unica fonte della propria felicità, nel secondo come un essere pericoloso, fagocitante, a cui avvicinarsi con molta cautela.

Il copione della relazione di co-dipendenza è inevitabilmente prefissato, segue uno schema preciso, quello della non reciprocità: uno insegue, l’altro fugge, uno vuole, l’altro nega, uno dice “ho bisogno di te” l’altro si volta dall’altra parte. Il bisogno di inseguire dell’uno è speculare al bisogno di fuggire dell’altro. Si può parlare quindi, con esattezza, di codipendenza, perché l’uno non esiste senza l’altro, il dipendente non esiste senza l’antidipendente.

Ma analizziamoli nelle loro caratteristiche e nella loro genesi.

1. IL DIPENDENTE: L’ORFANELLO

  1.  Il ritratto“Io ti salverò”

L’Orfanello è interamente incentrato, votato, devoto, perso, focalizzato sul partner. È convinto che per essere amato deve sempre essere diligente, amabile, efficiente e disposto al sacrificio. Incurante dei suoi bisogni, il dipendente è costantemente centrato su quelli del partner, che cerca di soddisfare in ogni modo.

Il suo bisogno è di sentirsi fuso, simbiotico in un legame struggente e totalizzante con l’Altro, che è vissuto come una sorta di droga, che gli consente di sentirsi uno, intero.

Ma deve fare i conti con il distacco, spesso la fuga, del partner che ha altro da fare (lavoro, sport, un’altra relazione, vizi come alcol, droga o gioco) oppure che fugge per paura di amare e che si sente “intrappolato” nella relazione.

La separazione è vissuto dall’Orfanello come intollerabile. La mancanza e la nostalgia dell’amato sono insopportabili.

Lo schema mentale del dipendente affettivo  è molto semplice: obbedisce al mantra “se solo non ci fosse…” l’altro uomo, l’alcol, il lavoro, il calcio, il gioco, la cocaina, la sua freddezza, la sua paura, e così via… “Io potrei averlo tutto per me, e finalmente sarei felice”. Il partner è quindi qualcuno da “salvare”, guarire, sistemare, convincere, controllare. A fin di bene, naturalmente… Bere fa male alla salute, giocare d’azzardo rovina la vita, essere stressati da superlavoro non lascia tempo per godersi la vita, vivere di solo sport non consente una vita normale, fuggire dalle relazioni per paura condanna alla solitudine, ecc… Ma è un aiuto malato, perché tende a creare o a rafforzare la dipendenza in chi si vuole aiutare.

Il dipendente è convinto che il partner abbia qualcosa da aggiustare e che, in nome del suo amore, ogni problema potrà essere risolto.

Si crede quindi onnipotente: più forte del vizio, dell’alcol, di un’altra relazione, ecc… Non importa a chi ha dichiarato guerra, l’importante è vincere, per riavere l’amore dell’altro tutto per sé.

Ciò che seduce il dipendente è la lotta, nell’ingiustificata, assurda presunzione di farcela: di riuscire prima o poi a farsi amare da chi proprio non vuole sapere. O di riuscire a curare chi non può o non vuole essere curato, di salvare chi non può e non vuole essere salvato.

E in questo sforzo perde se stesso. Non solo perché è oneroso e inutile a un tempo, ma anche perché tutta questa attenzione all’altro, porta il dipendente a dimenticarsi di sé, dei propri bisogni e dei propri desideri. Intento a curare o a non ferire il partner, non è consapevole che, in questo modo, finisce col ferire gravemente se stesso.

Nella relazione con il partner, l’Orfanello:

  • Sente di amare più di quanto si senta amato.
  • Quando tenta di interrompere la relazione, non riesce perché è spaventato dall’idea di rimanere solo.
  • Sente la mancanza del partner quando non c’è e si sente a disagio quando c’è.
  • Sente di sprecare la sua vita e dà la colpa alla relazione.
  • Si sente “a posto” e pensa che sia l’altro ad avere problemi.
  • Sente di avere problemi e pensa che l’altro sia “a posto”.
  • Ha un rapporto di coppia che in maniera ripetitiva e schematica si trova sempre a un passo da litigate furiose, caratterizzate da recriminazioni e da rimpianti, dal minacciare separazioni che non si risolvono mai definitivamente.
  • Sente che la responsabilità del rapporto è tutta sulle sue spalle, che fa fatica a tenerlo in piedi, e che all’altro non importa.
  1.  Attaccamento

Il dipendente soffre sempre di una grave forma di attaccamento per l’altro.

Per attaccamento, non si intende una normale forma di interesse per l’altro o una naturale preoccupazione per il  benessere di chi ama. L’attaccamento è un atto di coinvolgimento eccessivo, a volte carico di disperazione, che può assumere diverse forme e gravità:

  • Preoccuparsi eccessivamente per un problema o una persona.
  • Sviluppare una sorta di ossessione verso una o più persone.
  • In preda all’ossessione, reagire d’impulso e smettere di agire in modo cosciente e volontario.
  • Diventare emotivamente e materialmente dipendenti dalla persona verso cui si sviluppa l’attaccamento.
  • Sviluppare una forma esclusiva di dedizione verso di essa.

Un coinvolgimento smodato imprigiona sia il dipendente sia chi gli sta vicino, trascinando la relazione in una condizione di totale sbilanciamento e disequilibrio. L’Orfanello concentra tutte le sue energie sull’altro e sui suoi problemi, producendo così un duplice danno, a se stesso, opprimendosi e trascurando la sua vita, e al partner, che per difendersi dall’invasività e dal controllo si desensibilizza e deresponsabilizza. Attaccandosi con così grande forza all’amato, il dipendente si stacca da se stesso, perde il contatto con i propri bisogni, con la capacità di pensare, agire, sentire e prendersi cura di sé.

L’attaccamento morboso a un altro essere umano si manifesta con forme di ossessione e ansia. Il dipendente parla solo della persona amata, oggetto del suo interesse, non può fare a meno di pensarci. Anche se sembra ascoltare quello che altre persone gli dicono per aiutarlo a uscire da questa condizione, in realtà non sente nulla. La sua mente gira in tondo, trascinata in un vortice di pensieri compulsivi. Ripete sempre le stesse cose, cambiando leggermente i termini oppure usando sempre i medesimi. Ogni aiuto che gli viene dato per affrancarsi da questa “schiavitù”, viene rifiutato. Non serve intimargli di smetterla. È probabile che se potesse lo farebbe: il problema (almeno per il momen­to) è che non può. È dominato dall’energia che alimenta la sua ossessione. Non è più padrone di se stesso.

Se gli viene chiesto di esprimere le proprie emozio­ni, parla delle emozioni dell’altro. Se qualcuno gli domanda quali siano i suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti, racconta ciò che fa l’altro. La sua attenzione è sempre rivolta all’esterno di sé, mai a se stesso. È costantemente preoccupato, morbosamente attento alle azioni, ai pensieri ai sentimenti dell’altro. Le sue emozioni sono in co­stante fermento a causa di quel che l’altro ha o non ha detto, di quel che ha o non ha fatto o di quel che farà. La sua energia è interamente diretta e dedicata a qualcun altro.

La sua attenzione è sempre altrove. I suoi pensieri sono sterili e ripetitivi, organizzati in una sorta di spirale negativa che lo porta sempre più in basso, verso l’ansia e il controllo più esasperati. E la cosa peggiore è che, nella maggior parte dei casi, l’Orfanello non ne è affatto consapevole.

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